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Dott.ssa Cesare Maia

Intervista a cura di Giulia, Bassma, Viola, Micol (3H)

Trascrizione di Giulia  

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Cosa pensa quando sente descrivere il rugby come uno sport violento e non adatto alle donne?

Il rugby è uno sport. Se non è adatto alle donne, nessuno sport lo è e questo mi sembra una stupidaggine! Le donne fanno sport e in alcuni sport sono anche più spettacolari degli uomini.

Oscar Wilde aveva scritto che “il rugby è uno sport da delinquenti praticato da gentiluomini” e credo che in questa definizione qui ci sia un po’ tutta la chiave di questo sport. Volendo nel rugby puoi fare veramente del male, ma il punto è che la regola numero uno è non farlo. Si combatte, perché è uno sport di lotta e di contatto, ma si combatte in modo leale, nel rispetto per l’avversario. La parola “rispetto” nel rugby ricorre spesso e volentieri, perché si rispetta l’avversario, si rispetta l’arbitro, si rispettano gli impianti che si utilizzano, si rispetta l’ambiente. Nel rugby il rispetto è la legge che trasforma questo sport da delinquenti in uno sport da gentiluomini. Spesso e volentieri noi diciamo che si gioca CON l’avversario e non CONTRO, perché non dobbiamo dimenticare che alla fine è questo. Tant’è che al termine delle partite c’è il cosiddetto “terzo tempo” dove ci si ritrova tutti quanti insieme a bere e mangiare: compagni, avversari, arbitri, segnalinee e magari anche qualcuno del pubblico di qualsiasi tifoseria. Per questo chi non usa il rispetto viene sanzionato in modo gravissimo. Rispetto e fair play, in campo e fuori.

Tutto ciò vale sia per gli uomini che per le donne. Perché non dovrebbe essere uno sport per donne? Solo perché è uno sport di lotta e di contatto? Uomini e donne non sono uguali, hanno degli approcci diversi, ma siamo tutti persone e le persone hanno diritto a fare lo sport che preferiscono.

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Quali sono, se ci sono, le differenze tra rugbisti uomini e rugbiste donne e, quindi, cosa li accomuna e cosa li differenzia?

Come dicevo prima, penso che le donne e gli uomini siano diversi sotto tanti aspetti. Non significa che uno sia migliore o peggiore dell’altro, ma solo diverso. Le differenze sono ad esempio, per quello che riguarda il rugby, nell’atteggiamento in campo: le donne sono più osservatrici, più strategiche, ma anche, a volte, più restie a dare il libero sfogo all’aggressività. Anche in questo bisogna sfatare un luogo comune: l’aggressività non è cattiva, è una caratteristica della natura umana che abbiamo tutti. Le donne hanno una maggiore tendenza, forse di origine culturale, a reprimerla. Ma nel rugby l’aggressività è molto utile: in tutti gli altri sport toccare l’avversario è fallo, ma non nel rugby. In questo gioco toccare l’avversario è fondamentale: lo devi prendere e buttare per terra, lo devi placcare e gli devi rubare la palla, lo devi spingere via… Insomma, è un contatto continuo. Le donne all’inizio fanno un po’ più di fatica da questo punto di vista, poi però quando si liberano dei lacci che le legano la utilizzano anche meglio. Si possono riscontrare anche alcune differenze fisiologiche che influiscono su forza e velocità e che emergono anche in altri sport, ma a parte questo grandi differenze non ne vedo.

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Si può dire che nello sport ci sia parità di genere? Le atlete e gli atleti godono degli stessi diritti?

È una bella domanda! Da un punto di vista formale per quello che riguarda le regole, la risposta è affermativa: diritti e doveri sono gli stessi. Nella realtà concreta però tutti possono inciampare su quelli che sono i pregiudizi, che sono poi quelli che a volte rendono inefficaci le regole. Se io penso che una persona non sia adatta a fare una certa cosa, anche se magari ha il diritto di farla, cerco di impedirglielo. Questa è la discriminazione, conseguenza del pregiudizio. Mentre la regola stabilisce che abbiamo gli stessi diritti, nei fatti non veniamo supportati.

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Secondo lei, c’è pregiudizio verso le squadre femminili? E, se sì, quali e perché?

Vorrei poter dire no, ma in realtà – anche se il rugby cerca di distinguersi – questo non è un mondo perfetto. I rugbisti sono persone che vivono e che hanno il loro background culturale, che comporta pregiudizi. Per esempio, per tanti, il rugby femminile è qualcosa che va bene che ci sia, ma che non è così importante. Mentre invece proprio in questo campo abbiamo ottenuto risultati lodevoli. Il più antico torneo del mondo si chiama “Torneo delle Sei Nazioni”, in esso vi giocano Francia, Scozia, Galles, Irlanda, Inghilterra e Italia. Nel rugby maschile, ad esempio, facciamo molta fatica e da un po’ di anni arriviamo ultimi e prendiamo un premio che si chiama “cucchiaio di legno” e che, capirete, non è proprio il più ambito. Le ragazze, invece, sono riuscite ad arrivare anche terze e quest’anno hanno raggiunto il quarto posto. Davanti a ciò bisogna togliersi il cappello e complimentarsi. Le donne hanno dimostrato con i fatti di saperci fare e questo sta aiutando molto i rugbisti a superare i pregiudizi che alcuni ancora hanno. In definitiva, qualche pregiudizio c’è ancora ma prima o poi riusciremo a togliercelo dai piedi!

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Secondo Lei, qual è la cosa migliore che potrebbe essere fatta per eliminare le disuguaglianze di genere?

Lo sport è uno strumento fondamentale, non solo per superare gli stereotipi di genere, ma che consente di risolvere problemi a tutti i livelli. Forse molti di voi non, ma negli anni Novanta si disputò la coppa del mondo di rugby in Sud Africa. Era il periodo in cui era diventato presidente Nelson Mandela. Lui utilizzò il rugby, che era di fatto lo sport dei “bianchi” ma che veniva sostenuto anche dai neri, per unificare maggiormente le due componenti sudafricane. A questo proposito vi invito a vedere un bellissimo film, che si chiama Invictus, che è molto istruttivo e racconta proprio questa storia. Ovviamente il rugby ha fatto solo una parte, non ha risolto tutti i problemi del Sud Africa, ma ha dimostrato che lo sport ha un grossissimo potenziale.

Lo sport certamente avvicina e aiuta a superare gli stereotipi e ad abbattere le barriere. Se io e la vostra professoressa facessimo lo stesso sport, magari ci ritroveremmo a parlarne e a confrontarci sulla base delle nostre esperienze. Avremmo un punto di incontro per capirci meglio. Il confronto diretto è fondamentare, in questo periodo dominato dai social network nel quale idee e sentimenti escono falsati e liofilizzati, e trovarsi tutti sullo stesso campo da gioco consente proprio questo: confrontarsi, capirsi e anche instaurare dialoghi. Questa, secondo me, è un po’ la forza del rugby: cercare di interpretare lo sport nel modo più sociale possibile.

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