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Dott. Stefano Ceffa

Intervista a cura di Giulia - classe 3H

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Qual è la funzione del Cissabo e quali sono i settori in cui interviene?

Il CISSABO è un Ente Pubblico. In particolare è un Consorzio che eroga servizi socio-assistenziali per 23 comuni nel Biellese orientale. La popolazione interessata dai servizi del CISSABO è di circa 54.000 abitanti. Dal punto di vista operativo ci occupiamo di servizi sociali avendo cura di fare fronte ai bisogni dei soggetti che vivono una condizione strutturale o temporanea di fragilità: anziani, disabili, giovani, bambini, adulti. Ci occupiamo di povertà economica, povertà educativa, povertà relazionale. Negli anni oltre ai "campi tradizionali" di azione: anziani (assistenza domiciliare, semidomiciliare - centri diurni - e in struttura), disabili (assistenza domiciliare, semidomiciliare - centri diurni - e in struttura), bambini e famiglie (affido, adozione, educativa territoriale) e adulti fragili (povertà, tema dell'abitare, lavoro, tirocini...) il consorzio ha avviato azioni in particolare rispetto al grande tema della violenza di genere (agita e assistita).

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Quali sono gli strumenti principali per contrastare gli stereotipi e le discriminazioni a livello sociale? Secondo Lei, c'è speranza di superare queste problematiche?

Parto dalla seconda domanda con una provocazione e un'affermazione apparentemente "forte". Vincere gli stereotipi è IMPOSSIBILE ma proprio perchè impossibile è quanto di più UMANO ci sia perchè interpella la nostra capacità di "sperare", provoca la nostra capacità di "avere fiducia" e stimola la nostra fedeltà alla vocazione comune che abbiamo che è di cercare il "bene, il buono, il bello e il giusto". Gli stereotipi sono come i mostri dei videogame. Una volta che superi un livello ne salta fuori un altro sempre peggio del primo. In principio, almeno dal ‘700, erano i nobili, poi i rivoluzionari, poi i reazionari, poi gli ebrei, poi i ricchi, poi comunisti, gli omosessuali, i disabili, i ROM, poi i veneti, i "terroni", i marocchini, i romeni, gli albanesi, i musulmani e in questa triste evoluzione della degenerazione del pensiero, i "negri di merda". Tutti nelle declinazioni più becere. Tutti ci tolgono il lavoro, tutti ci rubano o violentano le donne, tutti ci portano via la roba, tutti minano la nostra "millenaria cultura", i nostri usi, i nostri costumi. Il tutto accompagnato da quell’armamentario di retorica e violenza verbale che nel combinato disposto col web e coi social ha prodotto tale e tanto sterco culturale che ci si potrebbe fertilizzare il deserto del Siani. Certamente il rapporto di genere ci provoca. Io sono il primo "Presidente maschio" di lungo periodo di una “roba” che si occupa di fragilità. I servizi sociali sono la rappresentazione plastica di uno stereotipo che ancora oggi esiste: le donne si occupano di chi sta male! Così come a casa quando ti sbucci le ginocchia vai dalla mamma, allo stesso modo il tema della fragilità è "donna". La scuola, la sanità... Non so quali strumenti siano più efficaci, credo però che occorra "agirli", tutti, presto. A partire dalla scuola, dalla cultura, dalla "comunità", da quelle che abbiamo chiamato "azioni positive", dalla rete. Anche, permettetemi, dalla consapevolezza che gli "stereotipati" non sono rinchiusi dentro una "riserva" ma hanno il diritto-dovere di darsi "sostanza" quando e se serve anche "corporativa". Circa il tema dello stereotipo di genere di solito rivolgo una domanda con una premessa: faccio il sindaco da 12 anni e l'amministratore da 22. Sempre ho fatto fatica a trovare giovani e donne da candidare e quando li ho trovati ho fatto fatica a farli eleggere eppure le donne sono il 50% e oltre. C'è una sfida enorme da combattere che inizia non solo da una dignitosa e comprensibile azione revanscista ma che deve partire dalla consapevolezza del valore dell’essere che soprattutto i “riservati” devono rivendicare, difendere ed esercitare ad esempio iniziando a votare una donna. Se tutte le donne votassero le donne avremmo di colpo un balzo in avanti nella rappresentanza e non, a parer mio, non troppo interessanti dibattiti sulla lingua se sia corretto “sindaca”, “assessora” o “ministra” temi sicuramente importanti ma non decisivi.

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È giusto pensare che gli stereotipi di genere si concentrino maggiormente sulle donne e non sugli uomini? Chi ha le maggiori colpe rispetto a questa situazione?

È un dato evidente, anche se vediamo bene come la demenza sia in continua evoluzione e degenerazione e la domanda ben potrebbe portarci a contemplare il fenomeno orrendo dell'omotransfobia che sta insopportabilmente emergendo con il suo puzzo nauseante. È altrettanto chiaro poi come il tema dello stereotipo venga acuito dal fenomeno della violenza. Ed è ancora chiarissimo come la violenza veda un attore principale il cui azionariato di maggioranza è legato ad un vigore e ad una forza, con una qualche origine biologia, ma è connesso anche a costruzioni di modelli sociali ottocenteschi. Provo a spiegarmi meglio: è chiaro che la narrazione del genere ci presenta le donne come "deboli, fragili, dipendenti" ma da dove nasce questa debolezza? È solo un dato fisico, biologico o anche culturale e antropologico? È dall'Iliade e dall'Odissea che la donna viene spedita a tessere e cucire ma non in tutte le culture si è assistita ad una sottomissione che ha sdoganato la violenza. Telemaco manda Penelope a sicure ma non dimentica che il trono di Itaca dipende da lei! E a noi cosa è successo? All'occidente moderno? È chiaro che l'appiattimento alla cultura dell'"io" che è divenuta presto del "super io" e che è stata divorata da quella dell'"iper io" tutta avvitata sul binomio produzione-consumo nelle sue declinazioni più o meno edulcorate di input-output, lavoro-capitale e il decantato fordista taylorista si è mangiato la “persona” sostituendola più o meno l'individuo. E l'individuo nella sua dimensione isolata e non comunitaria si è appiattito attorno all'uomo divenuto progressivamente maschio e poi macho. L’abitazione diventa “appartamento”, la relazione diventa relazione “binaria”, il valore risultato e così via…  E una società individualista NON ha bisogno delle donne. Non ha bisogno di chi “custodisce la vita”, la veglia, l’attende, canta alla notte… Le donne stanno "dentro" la comunità, la originano nella loro essenza naturale. Guardate un po' dove ancora le donne sono più o meno presenti come corpo sociale individuabile: nelle chiese magari durante i funerali "avanti le donne i non parenti". Cosa voglio dire? Che una dimensione sociale individualista, progressivamente, fa emergere tutto tranne che il valore della donna con buona pace di Dante, al punto che l'essere donna nella società della funzione-produzione-consumo è una colpa spinta al parossismo al punto che anche rispetto alla cosiddetta “diversità” ti posso perdonare di essere una lesbica che nella sottocultura machista è una donna pentita ma non posso perdonarti di essere omossessuale, al punto che ti fracasso la testa a sprangate. Allora mi pare che ci sia una urgenza nella ricostruzione di una lettura delle dinamiche sociali che a partire dalla scuola ci restituiscano uno straccio di verità.

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Un'area importante del Cissabo è quella relativa al Centro antiviolenza, al quale si rivolgono principalmente le donne. Lo stereotipo realmente rischia di concretizzarsi in una violenza se non tempestivamente affrontato?

1) Non solo! Rischia anche di non renderne evidenti le conseguenze. Provo a spiegarmi. C’è un problema nel linguaggio. Da sempre! Una cosa su cui abbiamo operato fin da subito è la formazione anche del personale delle forze dell’ordine. Viviamo in una realtà in cui percepiamo come prioritari i reati di allarme: rapine, furti. Una donna che lamenta che il marito la mena rientrava spesso nelle “beghe famigliari”, qualcosa di cui non deve occuparsi la forza pubblica ma qualche mediatore strano. Quando una donna vittima chiedeva aiuto, si diceva “presa in carico” locuzione orrenda come quella di “utente”, non per ignoranza ma per consolidata ricerca del nesso causa effetto, la domanda iniziale era “Signora ma cosa ha fatto per scatenare la violenza di suo marito, del suo compagno, dell’uomo…?”, Si capisce dov’è il problema dello stereotipo? La donna a quel punto è giudicata e si ferma. Non denuncerà più! Si capisce? Se chi deve tutelarmi mi chiede cosa ho fatto che cosa penserà mio figlio se non che gli sto “rubando” il padre? Cosa penserà “la ggente per bene” se non che gli sto rubando l’immagine di un uomo per bene? Cosa penserà la rete dei “nostri” amici se non che gli sto rubando l’immagine di un uomo integerrimo? Cosa sarà di me che non ho casa perché i miei non ci sono più, magari che non ho neppure un lavoro? Chiaro allora che la violenza subita rischia di diventare una condanna? Nella domanda parlate poi di tempestività. Qui ne abbiamo due: la prima è quella formativa e informativa. Le donne devono sapere di NON essere senza strumenti e i giovani e le giovani devono crescere in una cultura che li liberi dalla paura della violenza e dalla tentazione di agirla o di giustificarla. E questa è la prima “tempestività”. Oggi abbiamo un Centro Anti Violenza dove “aprirsi”, condividere una sofferenza, abbiamo il gratuito patrocinio, avvocati, una casa rifugio per le donne vittima di violenza e per i loro figli, abbiamo tirocini, percorsi sull’abitare indipendente, accesso al lavoro, azioni di cura per gli attori di violenza, percorsi di accompagnamento davanti alla violenza assistita. Insomma abbiamo un “sistema” pubblico e di associazioni che è cresciuto molto. La seconda urgenza è quella della vittima. La violenza diventa “abitudine sopportata” a volte “giustificata”. “Lo amo”, “si ma quella sera gli ho risposto male”, “è stanco, lavora troppo”, “è piano di preoccupazioni”… e le risposte dell’uomo sono sempre quelle, a volte anche vere, sentite. “Ti amo, non lo farò più”, “mi vergogno”, “ho schifo di me”… e un gesto inaccettabile viene motivato, argomentato, spiegato nella sua ineluttabilità e accettato come conseguenza “meritata”. Poi intervengono le buone motivazioni: “lo farò poi, ora abbiamo i bambini piccoli”, “non posso, mio padre lo uccide”, “non posso sua madre morirebbe di dolore”. La seconda tempestività è questa. Un uomo che picchia una donna è spesso un uomo che ha bisogno di essere aiutato e guarito o punito comunque fermato! “Tertium non datur”. Quando c’è violenza non c’è alternativa all’intervento immediato per salvare la donna, l’uomo e i figli. Ma se parlassimo ora di violenza assistita andremmo fuori tema.

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Cosa pensa del tema della pari opportunità del provvedimento delle "quote rosa”?

Devo dire che le “quota rosa” come le “riserve indiane” non mi entusiasmano. Sono un principio forse utile per dare un’opportunità di evoluzione del sistema ma nella pratica le trovo uno stucchevole esercizio di retorica dei valori che mi ha un po’ stancato. Conoscete una donna CEO di una grande società? Io molto poche. Conoscete una donna DG di una grande azienda pubblica? Io pochissime. In politica dove ci sono le “quote rosa” conoscete una donna che ricopra un ruolo di peso non meramente “rappresentativo” o peggio non “rappresentativo dello stereotipo”? In 70 anni di Repubblica non abbiamo avuto un Presidente della Repubblica Donna, un Presidente del Consiglio dei Ministri donna. Vado a memoria: in diciotto legislature abbiamo avuto 3 Presidenti della camera donne (Iotti, Pivetti, Boldrini) e una Presidente del Senato (Casellati), una Presidente della Corte Costituzionale (Cartabia). Fine. In 67 governi abbiamo visto tante ministre donne, tutte a fare “roba da donne”: istruzione, pari opportunità, famiglia, sanità. E altri ministeri minori: gioventù, pubblica amministrazione, disabilità. Anche qui perdonatemi l’approssimazione: zero ministri del tesoro donne (a casa nostra però la spesa la fanno le nostre mogli, sono loro che gestiscono il portafoglio), due ministre degli Esteri (Agnelli in un governo tecnico e Bonino), tre ministre degli Interni (Iervolino, Cancellieri in un governo tecnico e Lamorgese per due volte), tre ministre della Giustizia (Severino in un governo tecnico, Cancellieri e Cartabia), due ministre del lavoro (Fornero in un governo tecnico e Catalfo), due ministre della Difesa (Pinotti e Trenta). Insomma se un ministero “conta” o c’è un governo tecnico o ci sono per lo più uomini. Nel mondo però ricordiamo grandi donne in sistemi anche molto meno “evoluti” del nostro. Indira Gandhi in India, Golda Meir in Israele, Margaret Thatcher in Inghilterra, Soong Ching-ling in Cina, Corazon Aquino nelle Filippine, Benazir Bhutto in Pakistan, Édith Cresson in Francia, Sylvie Kinigi in Burundi, Mary McAleese in Irlanda, Tarja Halonen in Finlandia, Angela Merkel in Germania, Yuliya Tymoshenko in Ucraina, Michelle Bachelet in Cile, Cristina Kirchner in Argentina, Dilma Rousseff in Brasile, Aung San Suu Kyi in Birmania. In molti di questi paesi la democrazia è più “diretta” con sistemi maggioritari che ci liberano un po’ dalle invadenze dei “decisori politici”. Negli Stati Uniti per la prima volta abbiamo una vicepresidente Donna e non bianca e un segretario al tesoro donna. Una specie di rivoluzione inimmaginabile prima anche se l’America è più avvezza di noi a dare il giusto spazio alle donne anche dentro la finanza, pensiamo ad esempio alla Yellen alla FED. Da lì siamo arrivati a Lagarde prima al FMI e ora alla BCE con Von Der Leyen alla commissione (che poi viene lasciata in piedi da Erdogan nell’inerzia almeno nell’immediato di Michel). In Italia siamo al palo, da troppo tempo, per una “esuberanza maschile fallica” piuttosto invadente ma anche per una timidezza dell’universo femminile che quando è diventata “femminismo” non ha prodotto i risultati di una piena uguaglianza non solo in tema di accesso alla politica ma anche sul piano dei diritti individuali a partire dal salario. Eppure il mondo deve tutto all’universo femminile: Emmeline Pankhurst, Elisabetta I e II, Jaqueline Kennedy, Patty Smith, Amelia Earhart, Rosa Parks, Coco Chanel, Giovanna D’Arco, Grace O’Malley, Anna Frank, Marie Curie, Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, Valentina Tereshkova, Madre Teresa di Calcuttaa, Malala Yousafzai. Andate avanti voi! Letteratura, arte, architettura, medicina, scienza, filosofia… la storia non ha mai parlato il linguaggio delle “quote rosa”, la vita esce sempre tra i giunti delle lastre di pietra della storia e in modo irresistibile invade il tempo e lo rende fecondo, non chiede permesso, non chiede uno spazio di testimonianza, un recinto, non chiede “una parte” nel grande film storia, la storia la cambia…

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