Intervista a Marta
a cura di R.
Ciao Marta. Quanti anni hai adesso e quanti anni avevi quando ti sei ammalata di anoressia?
Ho 26 anni, quasi 27. Mi sono ammalata di anoressia a 19 anni, dopo la quinta superiore.
Che tipo di persona eri, prima di entrare in questo vortice?
In generale ero come qualsiasi ragazzina di 19 anni alle prese con la vita da adolescente tra scuola, sport, amicizie. Mi sentivo bene in questo micro-universo, avevo attorno a me persone e situazioni che mi rendevano felice, ma forse, a differenza di oggi, ero più ingenua e più fragile.
Ad un certo punto, sei andata in tilt, qualcosa è "andato storto" ed è cambiata la tua visione del mondo e delle cose. In che modo?
E' stato un percorso graduale, non c'è stato un momento in cui mi sono detta "sei grassa, basta mangiare".
Come dicevo, mi piaceva studiare, avevo ottimi voti, ero circondata dalle mie amiche, avevo il fidanzatino ed ero una ginnasta, il che comportava allenarmi tre volte o più alla settimana. Mi piaceva uscire, andare a ballare, mangiare, leggere e fare shopping. E fin qui tutto normale, giusto?
Però, nonostante fossi soddisfatta dalla mia vita fino a quel momento, ricordo quanto fossi stressata, tra problemi famigliari dovuti alla separazione dei miei genitori, l'esame di maturità da preparare e nessuna idea su quale università scegliere. E' stato in quel periodo che ho iniziato a prestare più attenzione alla mia alimentazione (nonostante io fossi sempre stata atletica e magra di costituzione, la tipica ragazza che mangia senza ingrassare). Ho cominciato diminuendo di poco le quantità ed eliminando qualche alimento; all'inizio non era un cambiamento significativo, ma quel controllo sul cibo stava dando ordine e pace alla mia mente: se la mia famiglia andava a rotoli, se non sapevo che strada universitaria prendere e come impostare la mia vita, almeno potevo contare le calorie e fare attenzione a quello che mangiavo. Mi dava un appiglio di sicurezza e ho lasciato che questa fissa continuasse a farsi strada, fino a prendere poi il controllo generale della mia vita. E il mio peso scendeva.
Cosa volevi da e per te stessa?
Sinceramente non so cosa volessi, era un periodo di cambiamenti a 360 gradi ed ero spaventata. Non volevo abbandonare la ginnastica, anche se ero cosciente che dopo il liceo sarebbe stato difficile continuare. Mi intristiva il pensiero che avrei perso alcune amicizie, anche se probabilmente ne avrei avute di nuove. Soffrivo nel vedere che, in tutti questi cambi, anche la mia famiglia stava cambiando e gli equilibri erano crollati. Avevo paura di prendere nuove strade, c'erano percorsi universitari di mio interesse ma fuori dalla mia portata economica, e percorsi economicamente fattibili ma che non mi entusiasmavano. Allo stesso tempo non volevo deludere mia mamma, e andare a lavorare dopo il liceo non era un'opzione. Avrei fatto anche una sesta e una settima liceo se ci fossero stati, tanto mi piaceva il mio mondo da liceale.
Forse volevo che tutto restasse com'era.
Come ha influito, la malattia, nei tuoi rapporti personali?
E' stata una schifezza, davvero.
Innanzitutto, il controllo malato del cibo ti toglie la possibilità e la libertà mentale di pensare ad altro. Tutto lentamente passa in secondo piano, perchè il tuo cervello sta sempre pensando a nuovi modi per evitare di mangiare e per bruciare calorie.
Ho detto di no a cene con amiche e a tante feste per non dover ordinare la pizza, mangiarla e poi sentirmi in colpa. Dicevo di aver già mangiato, di non avere fame, trovavo scuse. La malattia ti isola dagli altri, ti fa sentire terribilmente in colpa. In colpa per mangiare, in colpa per non aver mangiato abbastanza, per non aver corso abbastanza km, per aver preso in giro gli altri e te stessa. E' un immenso uso di energie mentali per autodistruggerti senza volerlo realmente. Io non ho mai pensato di voler morire, non ho mai avuto pensieri autodistruttivi, tanto che non mi rendevo conto di quanto male stessi facendo al mio fisico, alla mia mente e in generale alla mia vita.
Anche il corpo ne risente, ero sempre stanca, svogliata, l'entusiasmo mangiato da questa apatia costante. Una giornata all'università mi stancava tanto, ed ero sempre di malumore. Oltre al fatto che la malattia ti rende brutta e spettrale: tutti i vestiti mi stavano larghi, di notte le ossa bucavano il materasso, perdevo i capelli e il mio corpo si stava riempiendo di peluria. Mi facevano male gli sguardi esterni, vedevo che la gente mi fissava con preoccupazione. Non volevo socializzare.
Sei stata più volte ricoverata: a Biella, a Torino, a Genova. Molti tentativi di guarigione e terapie sono risultati vani, ma a d un certo punto, in te, c'è stata una svolta: in che momento e a cosa ti sei aggrappata? Cosa ti ha aiutata a iniziare seriamente un percorso di guarigione?
Il periodo dei ricoveri è stato il più brutto della mia vita. A Biella, non essendoci un reparto dedicato ai disturbi del comportamento alimentare [ndr. da fine 2019 è attivo presso l'ASL di Biella un Ambulatorio dedicato ai disturbi del comportamento alimentare rivolto ai maggiorenni], mi avevano ricoverato in psichiatria. Era un calderone di problemi mentali. Ho visto e conosciuto tante persone di varie età e ognuno con i propri demoni da affrontare, ho vissuto cosa vuol dire dall'esterno vedere persone che soffrono e combattono con qualcosa che esiste solo nella loro testa. Probabilmente anch'io avevo molto in comune con loro, se avessi saputo come guardarmi da un'altra prospettiva.
A Torino invece c'è un reparto dedicato ai disturbi alimentari, e sono stata seguita sia dal punto di vita psicologico che alimentare, ma la verità è che in tutti questi ricoveri, la battaglia non era la mia contro l'anoressia. Era la battaglia che faceva la mia famiglia contro la malattia.
Nonostante stessi saltando da un ricovero all'altro, chiusa in reparti, tra medici, infermieri, pianti, sondino gastrico e disperazione, non volevo uscirne. Volevo continuare ad essere l'unica in grado di controllare la sua vita, il suo peso, il cibo. Mi lasciavo aiutare quel tanto che bastava per raggiungere un peso accettabile per tornare a casa.
Dopo un altro breve ricovero a Biella, sono stata trasferita in una struttura altamente specializzata a Genova. Ero circondata da ragazze spettro come me. Sicuramente a Genova il personale altamente qualificato e specializzato ha una marcia in più nel trattamento dei disturbi alimentari, il percorso alimentare e psicologico che ho avuto sono stati a lento rilascio ma a lunga durata, e si sono rivelati i più efficaci. Anche se, come sempre, dall'anoressia puoi guarire per davvero solo se lo vuoi.
Nel mio caso, non c'è stato un momento in cui ho sentito un "click" , in cui ho deciso improvvisamente di riprendere a mangiare.
Semplicemente ho messo sulla bilancia le cose vere che mi stavo perdendo, le occasioni, le vacanze, le feste, i concerti, i compleanni dei miei affetti, e quel poco che invece l'anoressia mi stava dando.
Ammalarsi di anoressia è come sintonizzarsi su un pessimo programma televisivo: all'inizio ne guardi un po' per curiosità, poi finisci per farti rapire e, nonostante sia veramente un pessimo programma, non puoi fare a meno di smettere di guardare e ascoltare.
Ecco io Genova, un po' stufa del solito format offerto dal mio programma, ho provato a cambiare canale.
Ci sono stati momenti in cui hai detto "non ce la faccio"?
Ce ne sono stati tanti, più o meno intensi e il supporto psicologico è stato fondamentale.
Ma ho sempre pensato che se fino a quel momento avevo avuto la forza di impiegare tutte le mie energie mentali per autosabotarmi, quelle stesse energie, che c'erano ed erano solo mie, potevo prenderle e usarle con la stessa intensità in un'altra direzione.
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Adesso come stai?
Posso dirlo? Sto veramente bene.
Ho la mia vita, il mio lavoro, il mio fidanzato, le mie amicizie, la mia famiglia, i miei gatti.
Io, che avevo paura che tutto cambiasse, ho affrontato uno dei cambiamenti personali più grandi e faticosi, è stato un percorso che mi ha svelato chi sono e che mi ha dato più consapevolezza e sensibilità.
L'anoressia non se ne va appena si recupera un po' di peso. Personalmente, ci sono voluti un po' di anni prima di togliermi alcune piccole abitudini che mi trascinavo dietro dal mio periodo da anoressica. Ci sono alcuni cibi che fanno più paura di altri, i cosiddetti "cibi fobici". Per esempio, per anni non ho più mangiato la pasta. Nonostante mi piacesse, nonostante avessi superato la malattia e fossi tornata a mangiare con piacere qualsiasi cosa, la pasta per me era no. Avevo comunque deciso di non mettermi pressioni, prima o poi l'avrei mangiata di nuovo, con i miei tempi e quando l'avrei deciso io. E niente, un giorno l'ho mangiata e non sono morta, anzi sono qui per raccontarlo.
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Avevo vinto io ancora un'ultima volta e per tutte.